Sabotaggio a Nord Stream

“Sabotaggio” è la parola che è stata utilizzata da Ursula von der Leyen per descrivere i danni subiti dai due gasdotti Nord Stream la scorsa settimana. Come saprete, l’allarme è stato lanciato dalla Danimarca lo scorso martedì: l’esercito aveva infatti avvistato delle perdite di gas nel Mar Baltico. Le falle note ad oggi sono in totale quattro, due per ogni gasdotto, nelle zone economiche esclusive di Danimarca e Svezia.

All’interno dell’Unione non ci sono grandi dubbi né sull’intenzionalità del danneggiamento, né sul fatto che la colpa sia da attribuire a uno stato, e non ad altri attori. Si resta però molto più vaghi e cauti nel puntare il dito. Infatti, quando l’ambasciatore tedesco nel Regno Unito Miguel Berger è stato incalzato rispetto a questo tema, si è limitato ad affermare che per come stanno le cose non è possibile escludere nessuno.

Ieri sono state avanzate le prime ipotesi sulle circostanze del sabotaggio: le perdite sarebbero state causate da due esplosioni realizzate con una quantità di tritolo pari a quelle di una bomba aerea. Ad aver causato l’esplosione potrebbero essere stati dei sottomarini o gli stessi robot che effettuano la manutenzione sul gasdotto.

E mentre si cerca di risolvere questo giallo, gli analisti si interrogano sui suoi significati e sulle ricadute che questo potrà avere. Secondo Marco Giuli, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), i flussi di gas non hanno subito notevoli variazioni e anche la Commissione Europea ha rassicurato sul fatto che non esista un problema di sicurezza energetica legato ai danni ai gasdotti.

Infatti, i due Nord Stream da tempo non garantivano gas all’Europa, per due differenti motivi. Il gasdotto più giovane, Nord Stream II, non è mai entrato in funzione. Questo perché completata la sua costruzione alla fine dello scorso anno, non ha mai ricevuto le certificazioni necessarie. L’opera violava infatti i requisiti del diritto interno tedesco in materia. Con le prime avvisaglie della crisi ucraina, le procedure per metterlo in regola sono passate in secondo piano.

Invece, per quanto riguarda Nord Stream I, il gasdotto ha sospeso le forniture a tempo indeterminato alla fine di agosto. Secondo Mosca un malfunzionamento nella turbina riscontrato all’altezza della stazione di Portovaya, Russia, ne avrebbe pregiudicato il normale funzionamento. Inoltre, la sostituzione delle componenti danneggiate sarebbe impossibile, secondo Mosca, a causa delle sanzioni europee. Si sarebbe quindi resa necessaria l’attivazione di Nord Stream II, comunque mai avvenuta. L’Ue aveva infatti espresso grande scetticismo, considerando la sospensione russa pretestuosa.

Ciò che è certo è che l’incidente ha messo in evidenza la vulnerabilità delle infrastrutture chiave per la sicurezza europea. Lo ha sottolineato Carola Frediani nell’ultimo numero della sua newsletter Guerre di Rete: le infrastrutture essenziali europee sono moltissime e tutte vulnerabili, e parliamo non solo di gasdotti, ma anche di cavi telefonici, elettrici e internet che corrono per chilometri in fondo al mare senza che sia possibile monitorarli e proteggerli capillarmente. Dall’altro lato, però, sono fondamentali per garantire servizi a cui le nostre società non possono più rinunciare.

Per Marco Giuli, inoltre, le infrastrutture europee sono così entrate a pieno titolo nei calcoli degli attori in campo. La crisi ucraina potrebbe quindi cambiare forma e assumere i toni della guerra ibrida, cioè utilizzare sempre di più tecniche di guerra non-convenzionale. Germania e Danimarca hanno subito lanciato un appello per una maggior tutela delle infrastrutture indispensabili, ed effettivamente le compagnie energetiche stanno già aumentando la sicurezza intorno ai gasdotti.

Va però preso in considerazione anche un altro punto fondamentale, di cui abbiamo già parlato tante volte in questa newsletter. Nord Stream II ha costituito un fondamentale strumento di pressione politica nelle mani della Russia, anche se non è mai stato attivato. Va ora capito se il gasdotto sia ancora potenzialmente utilizzabile e se quindi possa ancora costituire un cavallo di Troia per Mosca, nel influenzare il dibattito tedesco ed europeo. Infatti, solo una settimana fa a Lubmin, un comune a 20 chilometri dal punto di arrivo di Nord Stream II, si erano raggruppati più di 3mila manifestanti. Questi chiedevano a gran voce l’apertura del gasdotto, considerato l’unico modo per garantire un futuro al Paese, visti gli alti prezzi dell’energia.

Se le conseguenze politiche del sabotaggio sono incerte ma per nulla promettenti, lo stesso si può dire di quelle ambientali. Le fughe di gas si sono esaurite solo ieri: i gasdotti, per quanto fermi, contenevano comunque gas pressurizzato. Resta difficile prevedere gli effetti ambientali dell’incidente: sicuramente nell’immediato il gas ha contaminato la porzione di mare coinvolta, compromettendo l’ecosistema del Baltico. Sugli effetti a lungo termine, invece, il dibattito è ancora aperto: per alcuni esperti potrebbe esserci un impatto limitato, in virtù della profondità della perdita e dell’esistenza di batteri che si nutrono di metano e potrebbero quindi contribuire ad assorbirne la gran parte. Per altri, invece, le quantità disperse sono eccessive perché questo avvenga: si tratterebbe infatti di emissioni pari a circa l’1% di quelle annuali tedesche.

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