E’ la gentrificazione, bellezza!

La polizia irrompe nei sogni di sinistra di Berlino. Lo fa in massa, schierata per strada e sui tetti, in assetto antisommossa. Irrompe, più precisamente, a Liebig 34, un edificio occupato nella parte est della capitale, sede di un collettivo anarchico, queer e femminista. Capita che si venga buttati fuori, se il contratto è scaduto. Fa strano che succeda proprio a Berlino, dove centri simili hanno goduto, storicamente, dell’appoggio della politica locale; fa strano capiti in uno dei Land dove il governo più si spinge a sinistra.

Dei 57 abitanti che ci vivevano non rimane nessuno, chi portato via dalle forze dell’ordine e chi trasferitosi prima, in vista dello sgombero annunciato. Restano soltanto quattro pareti zeppe di graffiti e un interno distrutto e barricato, manna per tutti quei media che non vedono l’ora di crocifiggere gli ex occupanti. Come se ci si aspettasse una pulizia di fondo da parte di chi viene cacciato, prima del’arrivo dell’odiata polizia. Come se, fa notare il Taz, storico giornale indipendente legato alla sinistra, il gruppo fosse stato mandato via per non raggiunti standard igienici.

Si direbbe un tentativo di sviare l’attenzione, se non fosse che l’attenzione verso ciò che accade manca totalmente: o meglio, tv e giornali sono pronte a documentare l’evento storico, la notizia arriva pure all’estero (o non la leggereste qui), ma a Berlino non interessa. La capitale è ormai invasa da sgomberi quotidiani e non è stato questo, anche se noto, a farle gridare allo scandalo.

Berlino si è guardata allo specchio appena 15 anni fa e si è trovata “povera ma sexy”, parole del sindaco. Poi i tempi sono cambiati e la città è rimasta vittima del suo stesso fascino: sempre più studenti, artisti e intellettuali hanno scelto di trasferirsi in quello che era un centro così vivo e interattivo. Insieme a loro, però, sono arrivati gli speculatori edilizi: affaristi che hanno fiutato le enormi possibilità che si stavano aprendo e hanno puntato sul rinnovo di interi quartieri, prima gentilmente lasciati a poveri e stranieri. Gli investimenti hanno trasformato veri e propri ghetti in quartieri residenziali: le buone notizie non sono per tutti, però, e infatti la città è diventata in men che non si dica molto più cara.

È la gentrificazione, bellezza! Non è un fenomeno nuovo, inizia negli anni ‘60 in Inghilterra, con la trasformazione dei quartieri operai: per la classe media trasferirsi lì non è più un tabù, intere aree vengono riqualificate e a diventano casa della gentry, la piccola nobiltà. La richiesta sempre crescente, a fronte di un’offerta che non si amplia poi molto, porta i prezzi delle case a salire vertiginosamente: dopo alcuni anni gli affitti diventano troppo alti per le famiglie in difficoltà, che si vedono costrette a trasferirsi. Intere zone cambiano per sempre la propria identità, i propri abitanti: vengono importate abitudini nuove, bisogni diversi, e così chi si è sacrificato per restare si trova ad essere un estraneo, una minoranza le cui esigenze muovono ormai troppo poco denaro per essere prese in considerazione. Non è solo Londra però a vivere questa trasformazione: succede anche a New York, Parigi, Milano e Roma. La città esercita il suo fascino, sempre più spesso si lavora negli uffici in centro, muoversi in bicicletta è un lusso che ci si vuole concedere.

A Berlino il fenomeno ha dimensioni enormi, per vari elementi. I quartieri poveri non mancano: dopo la riunificazione l’intera parte est è pericolante, precaria, possibilmente da demolire; non mancano nemmeno i poveri, gli ex abitanti della Ddr appunto, che non possono certo permettersi i nuovi appartamenti che nella capitale si vogliono costruire. Se questo basterebbe a rendere prima o poi la città un teatro di vasti cambiamenti, a ciò si aggiunge un fattore che moltiplica il fenomeno: gli hipster, gli alternativi con barba e vestiti di seconda mano, giovani benestanti che cercano di uscire dalle tradizionali zone borghesi. Vedono in Berlino l’ambiente perfetto: negli anni ‘90 migliaia di loro decidono di trasferirsi a Kreuzberg e Friedrichshain, quartieri prima riservati a operai e Gastarbeiter turchi. Ecco allora che in pochi anni i prezzi delle case raddoppiano. Molti si ritrovano così costretti ad andarsene, altri restano ma pressoché strozzati da affitti insostenibili e accerchiati da negozi bio, biciclette e vestiti dell’usato: un mondo diverso, inconciliabile.

Il processo sembrava ormai irreversibile e Berlino pronta a diventare una città adatta solo alle élite, quando la politica ha deciso – finalmente – di prendere in mano la questione. L’ha fatto in maniera netta, con scelte non banali. Un anno fa la decisione di ricomprare 6mila appartamenti, con un investimento di quasi un miliardo di euro, per poterli dare in affitto a canoni agevolati. Poi, a gennaio, il colpo di scena: il governo della città ha imposto un blocco agli affitti per 5 anni. I proprietari non potranno aumentare i canoni se non di percentuali estremamente ridotte da qui al 2024, mentre i nuovi contratti dovranno essere stipulati sulla base di cifre stabilite dal Land e calcolate guardando agli affitti del 2013.

Un ritorno al passato? No, un salto nel futuro. Degli studi dimostrano come, al momento, 430 mila nuclei familiari potrebbero usufruire di riduzioni grazie alla nuova legge, mostrando come nella metropoli l’intervento vada incontro a un bisogno reale, urgente. Le opposizioni non ci stanno e denunciano la coalizione alla guida della città, formata da socialdemocratici, verdi e sinistra. Le colpe sarebbero di volere un ritorno al socialismo e di violare la costituzione, ma non mancano i riferimenti a Hitler: si ricorda come sia stato proprio il Führer, in occasione di un suo compleanno, a introdurre un tetto agli affitti come regalo ai tedeschi. Le prime accuse verranno giudicate dalla Corte costituzionale, le seconde dal buon senso. Nel caso fosse decisivo il paragone con il nazismo, ci prepariamo anche ad una doverosa rinuncia alle bonifiche, comode sì, ma pur sempre simbolo del ventennio mussoliniano.

In questo scenario, a pagare sono le case occupate da anarchici, femministe e altri collettivi più o meno politicizzati. Parte integrante di quel passato berlinese che la gentrificazione sta minacciando, queste sono paradossalmente anche una causa del cambiamento. Non manca infatti chi, aspirante alternativo, sceglie di trasferirsi vicino a dove sorgono, innescando il processo descritto sopra. Radicalizzate, in gran parte passate di moda e sempre più fonte di problemi, queste case non servono più a chi per anni le ha sostenute e ora governa la città: se si vuole un consenso stabile meglio lasciarle a loro stesse, ai tribunali che decidono gli sgomberi e alla polizia.