Un tetto sulla testa

“Senza un domicilio registrato non posso avere un lavoro, senza un lavoro non posso guadagnare abbastanza per permettermi un appartamento”. Laci, senzatetto a Colonia, riassume così la sua condizione all’emittente tedesca Deutsche Welle, evidenziando in poche parole il circolo vizioso alla base dei suoi problemi.

In Germania le persone senza fissa dimora sono circa un milione. Si tratta di una stima, di un numero impreciso perché, di fatto, le statistiche federali sul fenomeno mancano dal 1998. Quello che si sa per certo è che le persone soggette a precarietà abitativa sono in continuo aumento, complice la speculazione edilizia, le politiche di austerità, i flussi migratori, e oggi anche gli effetti della pandemia.

A sopperire alla mancanza di dati ufficiali sulle condizioni dei senzatetto ci hanno pensato associazioni come BAG Wohnungslosenhilfe, che da anni raccoglie informazioni da differenti enti che operano sul territorio, aggregandole e pubblicandole in rapporti annuali. Non si tratta però di uno studio onnicomprensivo: basandosi sui dati inviati dagli enti con cui è in contatto, alcune categorie di senzatetto possono sfuggire ai radar, come coloro che scelgono di non rivolgersi a strutture di assistenza, che vengono ospitati da amici o che dormono all’addiaccio. Inoltre, nel rapporto mancano i dati di 5 Länder, fra cui la città-stato di Berlino, nota per ospitare numeri importanti. Nelle grandi città infatti, come appunto la capitale ma anche Amburgo e Brema, si considera che quasi 9 persone ogni 1000 non abbiano una casa.

Se i dati disponibili quindi faticano a restituire una misura precisa del fenomeno, sicuramente forniscono alcune informazioni sulle sue caratteristiche. Si sa, ad esempio, che tre quarti e più dei senzatetto sono uomini e che sono prevalentemente single. La fascia d’età più rappresentata è quella fra i 30 e i 39 anni. Circa la metà è costituita da rifugiati, anche con regolare riconoscimento della protezione internazionale. Inoltre, una porzione stimabile intorno al 12%, ha un lavoro retribuito. Queste persone costituiscono la frazione più svantaggiata dei cosiddetti working poor, quegli individui che nonostante siano regolarmente impiegati vivono sotto la soglia di povertà: secondo l’Ufficio federale di statistica nel 2019 erano l’8% degli occupati.

In Germania manca conseguentemente anche una vera e propria strategia nazionale: la responsabilità della precarietà abitativa è rimessa ai singoli, ma anche alle amministrazioni locali e all’associazionismo. Questi ultimi sono spesso costretti ad adottare misure temporanee e a carattere emergenziale, che tamponano il problema senza poterlo risolvere. La situazione è diventata ancora più complessa con la pandemia e con l’obbligo di garantire il distanziamento in dormitori notturni spesso sovraffollati.

Perché la metà dei tedeschi vive in affitto?

Le ragioni per cui si perde la propria abitazioni sono varie: la morte di un familiare, la perdita del lavoro, malattie fisiche o psicologiche, la fuga da una violenza domestica. Nell’85% dei casi però la causa scatenante è non essere riusciti a pagare regolarmente il canone d’affitto, nonostante il codice civile tedesco preveda una certa flessibilità se lo sfratto mette in pericolo la vita e la salute della persona. In Germania, però, la questione dei contratti di locazione sta diventando sempre più complessa, considerando che il Paese è uno dei pochi, tra quelli sviluppati, dove il numero di persone in affitto supera quello di coloro che vantano una casa di proprietà. Inoltre, negli ultimi anni, a causa della speculazione edilizia gli affitti nelle grandi città, ma non solo, sono schizzati alle stelle. Berlino ne è l’emblema: nel 2017 era la città che aveva subito il rincaro maggiore al mondo. Lo scorso settembre i berlinesi, che per l’80% vivono in affitto, hanno portato a casa un attesissimo referendum che darà la possibilità all’amministrazione locale di espropriare 200mila alloggi sfitti di proprietà di grandi società immobiliari: gli appartamenti, infatti, vengono tenuti vacanti per mantenere alto il prezzo degli affitti.

Parallelamente, però, non vengono costruiti abbastanza alloggi di edilizia sociale: si calcola che si stiano costruendo circa 26mila nuove abitazioni all’anno, contro le 200mila di cui ci sarebbe bisogno. Inoltre, ogni anno scadono i contratti di affitto agevolato in oltre 70mila abitazioni di edilizia sociale, che dopo 15-20 anni di contratto sussidiato possono tornare ad essere affittati a prezzo di mercato.

Il nuovo governo ha inserito nell’accordo di coalizione la realizzazione di circa 100mila nuovi alloggi di edilizia sociale all’anno. In sede europea ha inoltre promesso di eliminare il problema della precarietà abitativa entro il 2030. Si tratta di un segnale importante, che si aggiunge alla disponibilità dimostrata dal Bundestag nel 2020 di stilare statistiche regolari a livello governativo per monitorare il fenomeno: i primi risultati dovrebbero essere disponibili entro la metà di quest’anno. Inoltre, la questione dei senzatetto ha trovato spazio nel discorso del Presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier, in occasione della sua rielezione. Steinmeier ha infatti espresso il proprio rispetto e ringraziato l’avversario Gerhard Trabert, candidato di Die Linke, che aveva cercato di attirare l’attenzione pubblica sul tema. Trabert è stato quindi invitato alla residenza ufficiale del Presidente della Repubblica, a Palazzo Bellevue, per aprire una discussione rispetto alle politiche da adottare.

Fra le varie alternative discusse dagli esperti per affrontare la precarietà abitativa spicca la strategia “housing first”, che permetterebbe di interrompere il circolo vizioso a cui si riferiva Laci, il senzatetto di Colonia. Il modello è stato sviluppato negli Stati Uniti ed applicato con successo in Finlandia, dove i senzatetto sono passati da 17mila a 4mila. Si parte dal presupposto che avere un tetto sulla testa è un diritto umano, e che risolvere questo primo ostacolo rende il reinserimento nella società e la normalizzazione della vita molto più agevole. Inoltre, è una strategia più economica per lo stato di quanto non lo sia finanziare misure temporanee ed emergenziali come sta facendo ora.